Pianello dal Lario (CO), Giovanni Fontana |
31 ott 2013
30 ott 2013
Forapaglie castagnolo
Interessante inanellamento presso la località Lambrone al lago di
Pusiano. Foto di Andrea Galimberti.
5 ottobre 2013 - Al Lago di Piano tra bramiti, bassa antropologia e storie italiote
Bramito cervi Lago di Piano 5 ott 2013 grido prolungato 968 Intervallo 12 30 14 Terza Parte Def by MatteoB
Antropologia da quatar ghej
Una conferenza
Sfregatura del palco: si vedono strisce sulla corteccia.
Sfregare il palco serve e tenerlo pulito; se la corteccia è scura provocherà un
annerimento sulle punte.
Antropologia da quatar ghej
Maschietti ornitologi, femminucce mammologhe: così, penso da
qualche tempo, si possono individuare un paio di categorie in ambito naturalistico.
La notazione va collocata nel capitolo “bassa antropologia” ovvero
“antropologia da quatar ghej”. E va presa col dovuto beneficio di inventario,
come vuole tutto ciò che non ha fondamenti connotati da solido rigore
scientifico. Tutto sommato però sporadiche verifiche qua e là non han mancato
di fornire conferme. Alla base, forse, la sollecitazione di istinti materni per
il reparto donne, e la sublimazione di conati venatori per la sezione maschile.
Fatte queste premesse, è d’obbligo partire per l’appuntamento
coi cervi al Lago di Piano con una brigata a prevalenza femminile; sono con me
Alessandra Riva da Muggiò e Noemi Pession, valdostana di Donnaz con radici
meneghine per parte materna e di stanza a Milano per ragioni universitarie.
L’Ale, compagna di tante avventure in Valle Aurina (campi estivi per minori),
riempie parte delle proprie giornate tra gatti, tartarughe e compagnia
cantante, con il contorno di una ormai pluriennale attività di volontariato in
quel di Vanzago. Ha dote rara la brianzola: la capacità di unire persone
diverse tra loro per età, gusti, interessi, riuscendo ogni volta a creare lo
spirito del pacchetto di mischia rugbistico, cosa che rimanda al suo recente
passato nella pallaovale, troncato da un infortunio alle soglie della maglia
azzurra. La Noemi adora invece i pippi (gergale, vale l’italico chirotteri);
mammiferi, insomma, a conferma della tesi di cui sopra. I nostri destini si
sono così incrociati recentemente, grazie, va da sé, all’Ale e, soprattutto, ad
un’attività di indagine sui pipistrelli nel Parco di Monza. Sarebbe una prima
assoluta per il Parco del Canonica; l’operazione è ancora agli inizi: se son
rose, con quel che segue.
La parte sbagliata del Lago di Como
Il Lago più bello del mondo, d’accordo: topos ormai ripetuto
ad ogni occasione. Il Lario ha però, ricordiamolo sempre, due sponde.
“Uhei, siamo in Provincia di Como”, commento durante il
viaggio di andata. La Noemi non comprende il cenno di intesa tra me e l’Ale.
Memoria biostorica, cara valdostana. Tra monsciaschi e comaschi nei secoli non
è mai corso buon sangue. Per il sottoscritto si aggiunge imprinting giovanile.
Dovessi comporre un personale romanzo di formazione (un Bildungsroman da ‘700
– ‘800 tedesco), il Lario Lecchese avrebbe parte significativa, con le Grigne
sfondo di tante giornate di montagna; lo stesso non varrebbe invece per il lato
comacino. E l’Ale ricorda come il Marcello, suo dolce (si fa per dire) corrispondente
d’amorosi sensi, anni fa riempisse di insulti i biancazzurri lariani dagli
scalmi del Brianteo.
Al Lago di Piano
Un navigatore ballerino ci fa infognare in una via stretta,
da cui usciamo alla bell’è meglio. Dall’alto ci appare il Lago. Settori
antropizzati incombono sulla Riserva. Ce ne parlerà poi Vincenzo Perin.
È proprio il responsabile della Riserva ad accoglierci con
la cortesia delle occasioni speciali. Non è solo: una parte delle circa 20
persone che ruotano intorno all’area protetta sono qui a far da anfitrioni. In
ossequio ad una modernità che esige duttilità e flessibilità, si sono adattati
anche a compiti non usuali nel quotidiano dello specchio d’acqua lepontino.
Qualcuno sarà addirittura in cambusa.
I palchi di cervi impilati in un angolo suscitano nel
sottoscritto inevitabili appetiti cleptomani: non credo di essere il solo a
dover trattenere istinti poco ortodossi. Di sicuro, sulla mia lunghezza d’onda anche
il Claudio Crespi. Ce l’ha su con Giovanni F. il Claudio. Al telefono, in
mattinata, mica gli ha detto del labbo appena avvistato su a Gera. Malnatt!
Saputo dell’ennesima specie per il Pian di Spagna, da altre fonti, il mago dei
nidi artificiali si indirizzava in loco: bottino mancato, e i funghi raccolti a
piene mani non sono compensazione adeguata.
L’evento attira anche altre persone, oltre alla banda del
CROS. Il nostro gruppo è più che ben rappresentato. Roby Brembilla reca con sé le
copie dell’ultima nostra fatica, l’annuario. Giuliana non può mancare, motore
primo della serata. Al Piero spetterà la presentazione in chiusura di serata. A
distanza di meno di un quattro settimane ritrovo la Gaia. Minimalia: nel suo
piccolo, una notizia; un tempo ci si incontrava ogni 12 mesi quando andava bene.
Una conferenza
Davanti ad un auditorio concentrato e attentissimo, Vincenzo
Perin ci spiega molte cose sui cervi e sugli ungulati.
In Provincia di Como, il cervo è ben rappresentato. Dalla
zona di Cernobbio in su abbiamo 2200 individui. L’ungulato ha tendenze nomadi,
ma qui tende ad essere stanziale: utilizza canneti, arbusteti, cariceti…. Una
volta all’anno, appunto in questo periodo, per 15-20 giorni i maschi si
uniscono qui ai branchi di femmine. Non è, ovviamente, abitudine limitata alla
Riserva: fa parte dei normali cicli biologici del mammifero.
Un poco di nomenclatura, a conferma di quanto possa essere
ricca una lingua:
-
Cervo: il piccolo si chiama cerbiatto, la
femmina dell’anno (di 1 anno) sottile o giovenca, il maschio dell’anno fusone.
-
Cerbiatto: il piccolo si chiama capretto o
caprioletto.
Il nome fusone dato ai maschi del primo anno ha una
spiegazione: il palco è ancora nella prima fase del suo sviluppo, ed è
costituito da una prima stanga.
I giovani mantengono per un po’ il manto pomellato.
I maschi adulti vivono da soli. Al più ammettono la
vicinanza di uno scudiero, cioè un maschio giovane. I giovani stanno anche in
branchi; nel periodo del bramito provano a fare delle incursioni nelle zone in
cui convergono i maschi adulti. Ovviamente per loro è ancora presto, ma la
situazione costituisce utile palestra.
Le impronte delle femmine e dei maschi presentano delle
differenze. L’orma del maschio ha alla base una coppia di pomelli, piuttosto
evidenti. I pomelli nella femmina non sono così visibili, si vede bene invece
il filetto, cioè lo spazio aperto in mezzo allo zoccolo.
Gli organi di senso più sviluppati sono quelli dell’olfatto
e dell’udito. Non hanno occhi particolarmente acuti, anche se il campo visivo
non ha ampiezza trascurabile (310°). Vedono bene l’azzurro e il blu: ciò è
dovuto al fatto che nella retina han pochi coni (solo 2). Avete presente quando
di notte un fascio di luce illumina gli occhi di un gatto e ci mostra una sorta
di specchio? Per i cervi avviene lo stesso: questa superficie riflettente aiuta
la vista, aumentando la luce disponibile.
I cervi sono aumentati in questa zona negli anni. Questo
rappresenta un problema: gli agricoltori subiscono danni, che non sempre si
riescono a risarcire. I fondi disponibili sono pochi. In realtà, i problemi
sono, come spesso capita, a monte: mancano gli spazi, gli unici prati sono qui,
sul fondovalle. La convivenza con l’unica azienda agricola di questa parte del
Comasco, ultima sopravvissuta di un passato più luminoso, è difficile. Nella
faccenda si inserisce un nodo tipicamente irrisolto nella gestione del
territorio sotto il solo italico: le aree protette (la Riserva del Lago di
Piano non fa eccezione) vengono in tante, troppe occasioni imposte dall’alto,
senza prima partire da un sano e serio contatto con i locali. Il risultato è
un’antipatia nei confronti della Riserva ancora irrisolta.
Non pochi cervi cadono vittime di collisioni con automezzi.
La caccia è aperta anche nel periodo del bramito. Ci sono anche episodi di
bracconaggio. Altro problema: i piccoli toccati da ignari escursionisti.
L’odore dell’uomo permea il manto del piccolo: la madre non lo riconoscerà più.
Se si vedono dei cuccioli soli nel bosco, è buona norma non toccarli e
lasciarli dove sono.
Questa sera assisteremo alle parate nuziali. Il bramito è
uno degli aspetti del fenomeno. L’area dove convergono i maschi può anche
trasformarsi in arena, con combattimenti a cornate. Non sempre avviene: in
molte occasioni, quando due maschi si guardano può accadere che uno dei due
ceda. In questo modo non ci saranno scontri. Dimostrandosi più forte per
potenza di bramito e/o grazie alle sue vittorie nelle schermaglie, il maschio
conquista un harem.
In cattività un cervo può vivere fino a 20 anni. Per
determinare l’età di guardino i denti. Si distinguono 3 classi: giovane, medio,
vecchio.
Il palco cade alla fine di febbraio. Poi, con il ritmo di 2
centimetri al giorno, si svilupperà quello nuovo in circa 4 mesi.
Sul campo
Lasciamo il centro visite per l’escursione, i primi bramiti
già ben udibili. Ci muoviamo in due gruppi, con la consegna del silenzio.
Lungo il percorso non mancano le tracce. Vincenzo e la sua
collaboratrice ci mostrano alcuni esempi.
Una strada tracciata dal passaggio dei cervi. Come molti
animali, sono abitudinari: tendono a passare sempre dalle stesse parti.
Quest’albero è stato scortecciato. “La scortecciatura parte
dal basso”, spiega la nostra guida.
Nel fango, un’impronta ben visibile. È di una femmina: i due
pomelli prima citati non si vedono bene.
I bagni di fango costituiscono uno dei comportamenti più
tipici: servono a ripulire il mantello dai parassiti e a rinfrescarsi. L’area
mostrata in questa foto è stata utilizzata per i bagni.
Su alcuni alberi, altre tracce.
Scortecciatura: l’animale strappa, partendo dal basso, pezzi
di corteccia. Servono a garantire del cibo soprattutto nei periodi di magra
(leggi stagione invernale).
La mano dell’uomo
Muri a secco, resti di cascine: testimonianze di un passato
non troppo lontano. Più in alto, i nostri accompagnatori segnalano un roccolo.
“Avendo i fondi si potrebbe ipotizzarne un recupero per fini ornitologici. Pane
per i tuoi denti, Gaia”, butta lì Vincenzo.
All’appostamento. Rombo di motori
Raggiungiamo la postazione; siamo sopra i prati dove già
risuonano i bramiti. Da qui seguiremo i cervi. L’altro gruppo è già piazzato,
non molto distante: sono tutti immobili, in attesa di inquadrature per binocoli
e fotocamere. I miei desiderata deviano alquanto da quelli della maggioranza. Un
trattore – a quest’ora… – e altri mezzi motorizzati tengono però lontani i
quadrupedi. Non è casuale, ci spiegherà poi Vincenzo. Miserie e piccolezze
italiche? In parte; il fenomeno si inserisce in un quadro più generale trattato
prima: una comunità locale non coinvolta in modo appropriato in scelte
riguardanti il territorio può uscire dalle righe.
Quinta colonna
Tutti gli sguardi sono puntati verso i prati e boschi
sottostanti. Tutti, meno il mio. Obbiettivo della serata è, per me, registrare
i suoni degli ungulati. Mica semplice. Se i guastatori locali si sono alla fine
allontanati, rimane qualche quinta colonna a pochi metri. Anche il prof.,
niente meno. I microfoni dell’apparecchio sono sensibili: le voci si sovrappongono,
carogne e indisponenti, ai rumori della natura. Mi sposto a metà strada tra i
due gruppi, lanciando pensieri poco urbani alle mie spalle.
Nell’etere
I bramiti riempiono la vallata. Suoni possenti, lanciati di
continuo; tonalità arcaiche, ancestrali. Si hanno due tipi di emissioni: il
grido prolungato e la serie di gridi brevi (di solito tre). Il grido prolungato
può essere seguito o meno dalla serie. Sono in pochissimi casi, annoto, la serie
di brevi gridi viene prodotta in modo isolato.
Alcune tracce registrate:
il grido prolungato
Bramito cervi Lago di Piano 5 ott 2013 grido prolungato 968 intervallo 11 12 20 ritaglio primo def by MatteoB
la serie di gridi brevi
Bramito cervi Lago di Piano 5 ott 2013 serie gridi 968 intervallo 12 30 14 ritaglio sec parte def by MatteoB
la sequenza completa: grido prolungato e serie di gridi
brevi
Bramito cervi Lago di Piano 5 ott 2013 967 intervallo 25 30 sec sequenza completa def by MatteoB
Palchi nella radura. Un conteggio
Alla fine mi conformo alle moltitudini. Il binocolo serve a
qualcosa dopo tutto. Del resto, i quasi due mesi passati in Valle Aurina ogni
anno non è che mi abbiano offerto molte occasioni di vedere il nobile palco. E
binocolo sia. E le femmine dove sono? Mi domando.
“Mai stato in Valle Albano?”, chiede la Gaia. Rotta a mille
esperienze, racconta mirabilie: la fanciulla solletica l’immaginazione,
narrando di centinaia di maschi cantori. Ma a offrire spunti alla fantasia del
sottoscritto contribuisce di più il paesaggio. Mi accorgo solo dopo un po’ che
il Lago è visibile da qui. E i boschi e le valli intorno fan ritrovare ardori
escursionisti giovanili, quando specola e volatili erano ancora là da venire: e
il pensiero si volge a progettare traversate in queste lande.
Mi confronto con la valdostana. Quanti saranno i maschi? Il
referto finale parla di 5 esemplari. L’incedere dei maschi rende giustizia alla
loro fama; nemmeno il filo spinato teso a protezione dei prati ne interrompe
gli spostamenti. Un paio di esemplari si fan vedere all’aperto; Piero riconosce
quello con l’occhio ferito: è il risultato di combattimenti con altri maschi.
Non vedremo mai i cantori correre: i loro sono brevi
spostamenti intervallati da più lunghe interruzioni durante le quali fanno
udire il bramito.
Di ritorno
Il Vincenzo si scusa per i disturbi che hanno offuscato la
bellezza della serata. Qualcosa finirà registrato su un verbale con relativo
importo in euro. Nessun problema: il bilancio per me è più che positivo. Ci
sarebbe la cena, con concione del prof. Ma avevamo già optato per un rientro
prematuro. Dalla parte sbagliata del Lario.
Matteo Barattieri
25 ott 2013
22 ott 2013
20 ott 2013
Gheppio
Il 15 ottobre 2013, presso la località Bocchetta di Chiaro - Monte Berlinghera (CO) è stato catturato un Gheppio con anello finlandese. Fotografia di Rinaldo Riva.
19 ott 2013
17 ottobre 2013 - Come allocchi tra le nuvole
Il rendez-vous è per le otto al solito posto prossimo al Segrino. Sergio è in nostra attesa, girando con fervore la manovella della torcia a impatto zero.
La serata è piacevolmente calda, nonostante l'autunno sia iniziato da alcune settimane. Checco ed Italo occupano i sedili posteriori, mentre Sergio porta con disinvoltura l'auto sulla stretta e tortuosa via che porta all'Alpe di Carella. Come sempre tempesto di domande il conducente, contravvenendo spudoratamente a targhette ormai in disuso poste in bella vista a fianco al guidatore :-) I compagni d'avventura si salvano ben presto dalle mie chiacchiere raggiungendo la prima tappa del tour.
Alla Campora ci apprestiamo al primo richiamo armeggiando con lettore MP3 e diffusore acustico, diavolerie elettroniche di penultima generazione. La luna incandescente sconsiglia l'uso delle torce. Passano meno di tre minuti e la civetta risponde con impeto al richiamo; primo contatto riuscito!
Oltrepassando la stanga dopo il primo alpeggio, ci fermiamo in vicinanza dell'Alpe Fusi; il grande faggio secolare svetta poco più in su.
Questa volta è il turno dell'allocco che in seconda battuta sorvola la testa di Checco, intento a lasciar traccia di sé a bordo campo.
Remiganti e timoniere spiegate nel breve volo ovattato contro il disco lunare, l'inconfondibile canto trisillabico spezza la notte ed un gelido brivido scende lungo la schiena. Secondo contatto riuscito!
Lasciamo l'auto al bivio dell'Alpetto e ci incamminiamo lentamente verso la pineta che stringe a sé l'Alpe Alto. Civetta nana e capogrosso sembrano forestiere in questi boschi. Stimolati dai provocati striduli canti, rispondono invece i padroni di casa: due allocchi, il primo in basso verso Primalpe, il secondo vicinissimo a noi, giusto a rimarcar la loro indispettita presenza ad eventuali notturni alieni.
Si alza un leggera brezza che raduna nuvole a scacchiera da Ovest verso Est. Il patchwork bianco e nero gioca con il disco lunare, lasciando chiaroscuri di rara bellezza. In breve il vento si fa più forte, sfilaccia l'effimera scacchiera per ricomporla in lunghe strisce solcate di scuro, simili ad un colpo di zampa lasciata sulla neve da una tigre affamata.
Passando a fianco del Rifugio Marisa Consigliere, Sergio scorge dal finestrino alcuni volti conosciuti. Fermata l'auto, abbiamo il piacere di incontrare Silvia, Marco ed Alberto, anche loro sul Monte a toccar nuvole e cielo in una notte magicamente illuminata. Che piacere incontrare giovani donne e uomini a gioire di sé e del mondo, dimenticando tv ed ipad.
Il vento si fa forte, scompone le nuvole in un largo ventaglio, il buio è intenso, è ora di tornare a dormire per dar seguito al sogno da poco iniziato.
Massimo Brigo
|
foto di Sergio Poli
18 ott 2013
17 ott 2013
16 ott 2013
Una buona notizia!
La coltivazione a perdere di girasoli e sorgo ad opera della Riserva del Pian di Spagna che ha gentilmente accolto i nostri suggerimenti, sta dando buoni frutti: attualmente uno stormo di fringillidi sta banchettando alla grande!
14 ott 2013
13 ott 2013
Luì forestiero
Prima osservazione per la Riserva del Pian di Spagna (CO), fotografia e osservazione di Giovanni Fontana.
Settembre 2013 - Accademici per caso ovvero il CROS al Convegno di Ornitologia CIO 2013
“Noo… hai la
sigla CROS sulla targhetta…”, mi dice la Gaia. Il tono mal cela conati di
impunita impertinenza da anni verdi. D’accordo, non saranno i quarti di nobiltà
di un istituto universitario, ai cui vessilli fa riferimento la fanciulla, ma
tant’è. Oppure, la nostra non ritiene il sottoscritto degna rappresentanza per
il gruppo. E sia. In ogni caso, a dare maggiore lustro al CROS pensano altri
soggetti: scorrere l’elenco dei contributi al consesso permette di ritrovare
diversi nomi legati all’associazione e alla lista, dal Mattia B. all’Andrea G.,
da Roberto S. alla stessa Gaia. Roberto Brembilla e Giuliana Bric-à-brac Pirotta
avranno di che inorgoglirsi, spero. Assente, giustificato, il prof per ruolo e
per eccellenza. Poco male: attendiamo il Piero a futuri cimenti.
La
cronaca collega al nome del sottoscritto (e della combriccola di Varenna) 2
poster. Uno sul Parco di Monza ("25 anni di ornitologia al
Parco di Monza (Monza): una revisione critica per la stesura di linee guida
gestionali"), cui han messo mano anche altri: Massimo Brigo, Checco Ornaghi, Italo
Magatti e Piero Bonvicini. L’altro lavoro è sulla Valle della Nava: "La Valle della Nava: un corridoio di raccordo tra
aree protette nella Brianza Lecchese (LC)". Altri
personaggi lo firmano, soci dell’omonimo gruppo: su tutti, Alfio Sala e Marta
“la capa” Picchi.
Accademici
per caso
In
consessi come questo si ritrovano gomito a gomito diverse anime: ci sono gli
accademici puri e ci sono quelli che applicano a situazioni pratiche la teoria,
e via andare fino agli appassionati e ai curiosi. Tra i temi permeanti le
relazioni e i contributi, la conservazione occupa posto centrale. Come creare
un ponte tra la ricerca stretta e il fango di chi si sporca le mani sul campo:
questo il tema affrontato da uno degli ospiti del CIO 2013, Raphaël Allertaz.
La
grande produzione di lavori nell’ambito della conservazione non riesce a dare
impulso a decisivi e concreti passi in avanti, esordisce Allertaz. Bisogna
intervenire su quella che è una vera e propria divisione tra mondo accademico
da una parte e operatori attivi in progetti concreti di salvaguardia della
natura. C’è una correlazione negativa tra numero di
pubblicazioni e incremento della biodiversità. Le due parti devono cooperare.
Prendiamo
i biologi della conservazione. Dovrebbero sottoporre a un controllo sperimentale
le loro proposte e raccomandazioni; in altre parole, dovrebbero seguire un
processo integrato: trasferimento di conoscenze, miglioramento e aggiornamento,
controllo dell’efficienza delle loro prescrizioni, e, infine, diffusione dei
risultati in maniera globale.
C’è un
altro problema nella biologia della conservazione: il dilemma tra conservazione
basata su evidenze di campo e conservazione basata sulla voce degli esperti. È
curioso come molte operazioni e molti progetti attivati sul campo trovino
fondamento e riferimenti nella letteratura disponibile, ma dall’altra parte
molto spesso chi lavora sul campo non inserisca poi quanto apparso in pubblicazioni. Studi hanno dimostrato come perfino nel Regno Unito – terra dove
la cultura scientifica trova ampia e forte tradizione – solo il 2-4% dei
progetti di conservazione siano basati su solide basi scientifiche e
sperimentali: un altro settore, quindi, in cui intervenire.
L’invito
di Allertaz è ad annullare una sorta di linea divisoria che separa i due mondi
citati e a creare dei presupposti affinché chi detiene il potere decisionale e
amministra la cosa pubblica riceva significativi stimoli a ben operare.
Aironi
in Valpadana e non solo
Non
poche persone si muovono già nel solco che Allertaz vuole tracciare. Tra gli
altri, il gruppo di lavoro pavese: Violetta Longoni e compari. Hanno le risaie
padane ancora grande valore naturalistico? La fama tra noi appassionati di
volatili è più che buona. “Ma”, si domanda Violetta, “è una fama ancora
meritata?”. Attualmente, il paesaggio risicolo si fa sempre più povero e
monotono.
Le linee
indicate dalla nuova PAC, fresca di stesura (2014-2020), esenta le risaie
dall’obbligo di utilizzare parte dei fondi disponibili per l’ambiente. Tale
provvedimento discende, chiosa la relatrice, proprio dalla reputazione di
ecosistemi ricchi in biodiversità di cui si trovano a godere. Elisa Cardarelli
(sempre del gruppo pavese) ci mostra come le popolazioni di ardeidi stanno
subendo una significativa contrazione. Le modalità colturali degli appezzamenti
a riso sono da mettere tra gli imputati. Un elenco sommario raccoglie:
livellamento laser delle superfici, asciutte ripetute, alterazione dei periodi
di allagamento. Tutto questo comporta una diminuzione della biodiversità
(invertebrati e anfibi in primis) con conseguente riduzione della disponibilità
di cibo per gli aironi.
Il
lavoro di Longoni, Cardarelli, Bogliani e altri studiosi è stato finanziato
dalla Regione Lombardia (CORINAT, lo trovate in rete), con l’obbiettivo di verificare l’efficacia di alcune
misure agro-ambientali nel favorire la ricchezza in specie in ambiti risicoli.
La conferma è puntuale. Mantenere la presenza di riserve d’acqua durante
l’anno, dare al paesaggio tratti naturaliformi, lasciare vegetazione spontanea
sugli argini: questi alcuni elementi decisivi per la conservazione. E,
sottolinea Violetta, tutto ciò non ha comportato riflessi negativi sul lavoro e per le tasche dei coltivatori.
Giacomo
Assandri – ricerca svolta con un gruppo di lavoro – illustra problematiche
simili per gli oliveti spagnoli. La specie di riferimento è la capinera, lo
scenario la zona di Alicante (Spagna Meridionale). Anche in questo caso, il
mantenimento di biodiversità è garantito da “situazioni meno gestite”, in
particolare nel periodo invernale, durante il quale le capinere trovano
foraggiamento grazie alla presenza di arbusti con frutti.
Gli
spunti sono molti. Oliveti, agrumeti e risaie: per questi ambienti la PAC non
prevede obbligo di finanziamenti per interventi di carattere agro-ambientale.
La futura programmazione in ambito agricolo (PSR) sarà da seguire: il nostro
ruolo di cultori della materia sarà importante: suggerire agli amministratori
di inserire capitoli ad hoc nei futuri PSR (Piani di Sviluppo Rurale).
Un
piccolo picchio come biglietto da visita
“Ah, il
Parco di Monza… famoso per il picchio minore”, a parlare non è qualche
trinariciuto naturalista monsciasco o delle lande brianzole. Ma il Karol
Tabarelli De Fatis da Trento: martella oggi, martella domani con la storia del piccolo (e mica
tanto scontato o comune) picchio, ospite da sempre del nostro Parco, e qualche
risultato salta fuori. A centinaia di chilometri di distanza, il simpatico
volatile può costituire nobile biglietto da visita. Altro che autodromo, spara
subito l’anticircuito che alberga e prospera in tanti di noi. Non sarà il solo,
Karol, a citare il piciforme. Il venerdì fa capolino Morinellus Azzolini.
Presenza sempre gradita, ovviamente. Il suo commiato in serata fa inatteso, e
gradito, riferimento al pregiato ospite del nostro Parco.
Per la
gioia di Massimo e Checco, che qualche mese fa han lanciato un’indagine sul
simpatico volatile lungo il solco della Valle del Lambro.
Per
pascoli e crode
Una
sessione – visto lo scenario che ospita il CIO non poteva essere altrimenti – è
dedicata all’ambiente alpino. Ahi, i soliti forcello, cedrone e pernice,
commenterà l’immancabile sputasentenze. Be’, non è proprio così. Se una parte
dei contributi sofferma l’attenzione sulle specie sopra citate, alcuni lavori
ampliano gli orizzonti.
Antonio
Rolando e il suo gruppo hanno esaminato l’impatto della presenza di piste da
sci sulla biodiversità e, nel dettaglio, sulle comunità ornitiche alpine e
subalpine. Gli effetti sono negativi sia a livello di habitat che di paesaggio.
Sono
stati prese in considerazione diverse tipologie di ecosistemi, scelte tra le
zone forestali e le aree di prateria. A differenziare le aree tra di loro una
variabile: la vicinanza o meno di piste da sci. La presenza di queste strutture
condiziona in modo negativo la biodiversità. Risultato è che le piste da sci
producono un effetto margine negativo; tutto ciò è in contrasto con i dettami
dell’ecologia classica (cfr Odum): due ambienti a contatto in questo caso non producono
effetti favorevoli alla ricchezza specifica.
A quote
più elevate il danno è soprattutto legato al fatto che le piste sono poco
coperte dalla vegetazione, il che modifica comunque l’habitat delle specie,
fornendo loro meno disponibilità di prede. La situazione è drammatica. Facciamo
qualche conto. In Svizzera ci sono 2000 km di piste, in Austria 6000, in Italia 5000. Si tratta di calcoli per
difetto, comunque. Nel solo Trentino i km sono 800, quindi forse per l’Italia
totale è più alto. Sulle piste la ripresa della vegetazione, in alte quote, è
lentissima. Se poi la pista è gestita, la vegetazione regredisce ulteriormente.
C’è un
altro aspetto. Con il riscaldamento globale, c’è la tendenza a portare le piste
sempre più ad alte quote, dove peraltro le condizioni ecologiche sono più
delicate. A questi scenari va aggiunto che la pressione turistica legata allo
sci sta aumentando. C’è lo sci d’erba, per fare un esempio. C’è la discesa con
le bici. E poi l’eliski.
Vorrei
terminare con una nota di ottimismo, conclude Rolando: in situazioni di piste
gestite in modo più responsabile, si può assistere al ritorno della vegetazione
e di condizioni più naturali.
Molto
interessante il lavoro di Dan Chamberlain, svolto insieme a Rolando. La
comunicazione affronta tematiche di carattere metodologico. Argomento non da
poco: in area alpina, svolgere attività di campo non è sempre agevole, e non
solo dal punto di vista logistico o climatico. Di più: ogni tanto fa piacere
sentire parlare di passeriformi, centro dell’attenzione nella discussione di
Dan. Il contributo analizza i risultati di censimenti, considerando una serie
di specie comuni e tentando di individuare delle correlazioni tra la presenza
di specie e le condizioni ambientali in cui sono stati svolte le uscite.
L’utilizzo
di punti di ascolto su transetti con gradiente altitudinale costituisce
l’opzione migliore e più efficiente, soprattutto se si deve operare su vasta
scala: l’uso del mappaggio o la tecnica dei punti di ascolto possono andare
bene se si lavora su aree non molto estese.
Selezione
del sito. In linea di principio, una selezione casuale non è praticabile.
Concetto chiave è usare una selezione sistematica. I sentieri – ricordiamo che,
in fin della fiera, sono loro a permetterci di muoverci in alta quota – non
sembrano condizionare in modo significativo i dati.
Momento
della giornata in cui operare. Per 7 delle 16 specie considerate, gli orari di
censimento hanno mostrato una influenza significativa. Il mattino presto la
possibilità di censirle era più alta. Questo aspetto è importante: lavorare a
quote alte può implicare un lungo trasferimento a piedi, e arrivare troppo
tardi sul posto significherebbe perdere dei dati. Non dimentichiamo che maggio
e giugno sono i mesi decisivi per indagare.
C’è
ancora da lavorare in questo campo. Come sottolinea Dan, su alcune specie
comuni di alta quota ci mancano dati: l’invito a darsi da fare è d’obbligo. Lo
studioso sta dando vita ad una rete di persone che vogliono cimentarsi.
Pallone
e binocolo
Il
calendario, impietoso, ricorda che il giorno dopo è sabato, per il sottoscritto
consacrato alla partita a pallone al Parco di Monza. Appuntamento
irrinunciabile, ebbene sì, dal lontano novembre 1979. In tanti lustri, poche le
assenze, e tutte debitamente giustificate. A compensare l’assenza del sabato
del convegno provvede, pensa te, Fauna Viva. Il prato prescelto è poco lontano
dalla sede del convegno. Un pallone procurato alla buona, e i pali improvvisati
come un tempo. Le compagini hanno un capitano, autoproclamatosi, ciascuna: da una
parte il Gianpiero Calvi, sotto i cui ordini mi trovo a militare, e dall’altra
l’Enrico Bassi. Detto dell’esito finale – che ci vede vincitori –, vale la pena
sottolineare come il Bassi non sia proprio esempio di onestà sportiva, tra pali
trasformati in segnature e, conseguenti, ritocchi arbitrari sul punteggio. “Se
raccoglie così anche i dati di campo....”, commenta il più moderato. Tiremm innanz.
Nota
antropologica, e curiosa, a margine: della banda pallonara fan parte – a parte
una o due eccezioni – solo lombardi, per schiatta e per residenza. E il pallone
diviene occasione di conoscenza reciproca per alcuni di noi, fin qui magari
venuti a contatto al massimo via internet: potenze e magie della amata sfera.
Il MUSE:
una storia (quasi solo) italiana
Tra il
materiale distribuito agli iscritti c’è anche un ingresso omaggio per il MUSE. La
stampa ha dato molto risalto al recente anzi freschissimo taglio del nastro
sulla soglia della struttura museale. Le decine di migliaia di presenze dalla
fine di luglio a questa parte costituiscono sicuro indice di successo. Solo
luci? Chi è avvezzo a quanto avviene sotto il sole italiota non fatica a
rintracciare le ombre. Tutto l’ambaradan è costato 100 milioni, di cui 30 per
il solo progetto, targato immancabilmente Renzo Piano. La spesa è ingente: è
immediato immaginare che qualche ripercussione negativa – leggi diminuzione di
fondi per altri capitoli di spesa – potrebbe scaturirne. La conferma arriva
puntuale. Una giornalista locale durante una cena post-partita (vedi sopra) ci
spiega che il giocattolo costa 8 milioni l’anno per gestione e manutenzione. Il
conto è presto fatto: ipotizziamo anche 300mila visitatori all’anno – stima non
campata per aria ma forse un poco largheggiante – a 9 euro l’uno. Fanno 2 milioni e rotti l'anno; tenuto conto che molti visitatori pagheranno prezzi
ridotti (scuole….ecc…), il bilancio finale è immediato.
Non è
tutto. L’operazione ha come conseguenza la desertificazione culturale di un
territorio. Investire su una struttura di tale portata comporterà anzi comporta
l’inevitabile riduzione di finanziamenti per altre, e non meno meritevoli,
iniziative culturali. In un zona come la provincia di Trento, che ha buona
parte della popolazione dislocata in piccoli centri, il risultato è facilmente
intuibile. “Per il resto della provincia” – chiosa la giornalista – “rimarrà
solo la sagra, con tutto il rispetto, della patata o della birra”.
“E il
museo?”, si domanderà il lettore. Detta fuori dai denti, per quello che han
speso, potevano fare di meglio. Ci si aspetterebbero molte più realizzazioni e
molti più dispositivi interattivi. In realtà, siamo di fronte ad una serie di
piccole pillole anzi cartoline della scienza, volte più che altro a dare un
poco di spettacolo. Un ulteriore dettaglio grida vendetta. Non pochi
dispositivi – e intere sezioni – sono fuori uso, con buona probabilità per il
sovraccarico di utenze. Forse non si aspettavano una così vivace risposta del
pubblico, commenta qualcuno. Fosse anche vero, la giustificazione non regge:
come presentarla a chi si è sorbito centinaia di chilometri per venire fin qui per
raggiungere la biglietteria del MUSE? Progettare al meglio impianti e
macchinari sarebbe stato il minimo.
A volte
i dettagli sono ricchi di significato. Ciliegina sulla torta, i tanti animali
imbalsamati che pendono dal soffitto a riempire lo spazio vuoto centrale che
raccorda i vari piani sono anonimi. Volontà di mastro architetto: i cartellini
con l’indicazione della specie avrebbe disturbato (sic) l’allestimento.
Hopp
schwiiz ovvero Ornitho ovvero: monzesi a rapporto
Non
poteva mancare Roberto Lardelli, giunto a Trento per parlare di Ornitho. Tema
caldo, ovviamente. E non mancano le novità per il gruppo.
La
stagione entrante sarà l’ultima per la raccolta dati per l’Atlante.
Tornerò
sull’argomento, riprendendo la comunicazione di Lardelli. Per il momento:
monzesi a rapporto! Ci manca ancora del lavoro per riuscire a concludere le
attività di campo per la nostra provincia. Non sia mai che rimaniamo fuori:
sarebbe onta indelebile.
Di
ritorno
“Ah, lei
studia gli uccelli?”. La domanda è di un passeggero sul treno che mi porta
verso Monza, vedendomi intento a consultare la massa di pubblicazioni che mi ha
riempito uno zaino vuoto all’andata e pieno al ritorno – consuetudine piacevole che mi accompagna
in occasione di ogni convegno –. Il mio estemporaneo compagno di viaggio mi
racconta di quello che vede nel suo paese di origine, in Puglia. Dalle
descrizioni capisco di tratti di galline prataiole. Insomma, mica paglia, come
si dice.
Matteo Barattieri
12 ott 2013
Succiacapre
11 ott 2013
Assiolo
9 ott 2013
7 ott 2013
6 ott 2013
Birders, amici e parenti... tutti in attesa del grande evento!
Eccoci nella riserva naturale del Lago di Piano, nel comune di Carlazzo (CO). E’ un piccolo gioiello della natura, circondato da pendici boscose. Le luci del tardo pomeriggio e le nuvole basse esaltano il suo fascino. Speriamo non piova....
Vincenzo Perin, il guardiaparco, ci accoglie e illustra con un’interessante introduzione quello che andremo a vedere. In questa stagione i cervi scendono al piano per il corteggiamento e la riproduzione... ma le cose da sapere sono molte.
Ecco i suoi validi collaboratori: guide e provetti cuochi per noi!
In piccoli gruppi ci si prepara per l’uscita
Durante il percorso la guida ci mostra i segni della presenza dei cervi
Le impronte del cervo
Il bramito di 3-4 maschi ci accompagna per tutto il periodo di osservazione; alcuni escono allo scoperto, mentre cerve e giovani corrono nei prati.
Al rientro la cena fra amici…
..a base di succulenti pizzoccheri: ahi la dieta!
salumi e appetitosi formaggi della zona
le guide sono anche abili pasticcieri..
La presentazione dell’Annuario Cros 2012 da parte di Piero Bonvicini
Annuario 2012 PDF
Il pubblico è attento, sebbene l’ora tarda e la pancia piena
Per finire Moira Cappelli ci introduce brevemente nel mondo degli origami...
Bella ed interessante serata, grazie a tutti per la partecipazione!
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